da "Corriere del Ticino", 17 settembre 2003
Grytzko Mascioni, fra il viaggio e la fantasia
di Sergio Roic
Il nome di Mascioni l’ho incontrato per la prima volta leggendo un suo libro sul dio greco Apollo. Un libro molto greco, come lo era d’altronde Mascioni stesso, sempre proteso alla ricerca della radice classica della nostra civiltà.
In un’altra occasione – ora avevo imparato a conoscerlo di persona – avevamo discusso di un libro che, per entrambi, aveva un significato particolare: Pensatori greci di Theodor Gomperz. Le valli della Grecia precristiana erano state l’ideale trampolino di lancio di una civiltà, diceva citando Gomperz. E quello sguardo greco, ad abbracciare il mare, l’avventura, teso a superare il limite, ogni limite, era al contempo sia uno sguardo greco che il susseguente modo di osservare (e pensare) occidentale, europeo; proteso sempre al di là di ogni limite. Lo sguardo di Ulisse.
Fu in quell’occasione, parlandone con Grytzko, che afferrai appieno il significato di «limite». Un limite- orizzonte da superare, sempre.
Mascioni, nato in una valle, adorava il mare. Su una nave che solcava l’Adriatico mi confessò di essersi sentito soffocare, nella sua valle. Che amava, profondamente. Eppure, mi disse, che già da adolescente aveva avvertito, profondo, il bisogno di quello spazio sconfinato, della rotta che in un attimo sembra aprire ogni possibilità al viaggio e alla fantasia. Mascioni aveva bisogno di viaggiare per sbrigliare la sua fantasia artistica. Il risultato sono le sue opere: Mascioni non è quello scrittore che ha scritto un solo romanzo, e poi lo ripete. Il suo percorso, come pure il percorso che hanno fatto, sull’arco di una vita, le sue idee, è una ricerca costante di nuovi modi di espressione. Poesie, prose, saggi, romanzi, Mascioni sembra essersi cimentato con tutti i generi letterari. Ma il Mascioni che conosco meglio è un vero e proprio mito letterario croato. Grytzko, infatti, durante la sua lunga permanenza a Zagabria (che è poi la mia città) come ambasciatore di cultura, ha scritto un romanzo, Puck, probabilmente autobiografico. Dico «probabilmente» perché ogni scrittore, quando scrive di sé, in realtà si nasconde.
Ma se, a Zagabria, parlate di Puck a qualsiasi uomo di cultura, vedrete che gli si illuminano gli occhi, gli si aprono i ricordi, ricordi di una stagione maledetta, quella della guerra, eppure ebbra di possibilità e di voglia di fare; quella voglia di fare culturale promossa dal magnifico Puck, il personaggio- persona che fu Grytzko per quella città.
Grytzko Mascioni, come ogni vero uomo di cultura, come ogni vera personalità, ha avuto un antagonista. Che non è altri se non il suo grande amico- competitore Predrag Matvejevic. Entrambi amavano di amore profondo il Mediterraneo. E competevano per descriverlo meglio dell’altro. Una volta, con Matvejevic, mi misi a parlare di Mascioni e Predrag mi confessò che per il suo rapporto con Grytzko, improntato alla grande amicizia, non poteva trovarsi formula migliore di quella dell’antagonismo creatore, quell’intenso rapporto mimetico- competitivo che ritroviamo, presentatoci come sul palmo di una mano, nei libri di René Girard. Chi mi è vicino, chi sento più profondamente mio, chi parla e scrive delle mie cose, è colui che io cercherò di superare. E’ così, concluse Matvejevic, che nascono le grandi opere.
Nel caso di cui vi narro, esse, le opere, i romanzi, i saggi, le poesie di Grytzko, nulla e nessuno le potrà cancellare, tanto meno la logica della nostra esistenza che è un passaggio; le opere di Mascioni, dicevo, vivono e vivranno con e nella nostra memoria, la memoria che Grytzko tanto amava, un mito platonico per cui un trasvolatore, per un attimo, dall’alto, ricordandola, è capace di afferrare l’essenza dell’idea; le opere di Grytzko Mascioni, mio amico letterario, dicevo, vivranno e rimarranno nella memoria di tutti coloro che vorranno provare a catturare la vera essenza dell’idea.
Grytzko Mascioni, fra il viaggio e la fantasia
di Sergio Roic
Il nome di Mascioni l’ho incontrato per la prima volta leggendo un suo libro sul dio greco Apollo. Un libro molto greco, come lo era d’altronde Mascioni stesso, sempre proteso alla ricerca della radice classica della nostra civiltà.
In un’altra occasione – ora avevo imparato a conoscerlo di persona – avevamo discusso di un libro che, per entrambi, aveva un significato particolare: Pensatori greci di Theodor Gomperz. Le valli della Grecia precristiana erano state l’ideale trampolino di lancio di una civiltà, diceva citando Gomperz. E quello sguardo greco, ad abbracciare il mare, l’avventura, teso a superare il limite, ogni limite, era al contempo sia uno sguardo greco che il susseguente modo di osservare (e pensare) occidentale, europeo; proteso sempre al di là di ogni limite. Lo sguardo di Ulisse.
Fu in quell’occasione, parlandone con Grytzko, che afferrai appieno il significato di «limite». Un limite- orizzonte da superare, sempre.
Mascioni, nato in una valle, adorava il mare. Su una nave che solcava l’Adriatico mi confessò di essersi sentito soffocare, nella sua valle. Che amava, profondamente. Eppure, mi disse, che già da adolescente aveva avvertito, profondo, il bisogno di quello spazio sconfinato, della rotta che in un attimo sembra aprire ogni possibilità al viaggio e alla fantasia. Mascioni aveva bisogno di viaggiare per sbrigliare la sua fantasia artistica. Il risultato sono le sue opere: Mascioni non è quello scrittore che ha scritto un solo romanzo, e poi lo ripete. Il suo percorso, come pure il percorso che hanno fatto, sull’arco di una vita, le sue idee, è una ricerca costante di nuovi modi di espressione. Poesie, prose, saggi, romanzi, Mascioni sembra essersi cimentato con tutti i generi letterari. Ma il Mascioni che conosco meglio è un vero e proprio mito letterario croato. Grytzko, infatti, durante la sua lunga permanenza a Zagabria (che è poi la mia città) come ambasciatore di cultura, ha scritto un romanzo, Puck, probabilmente autobiografico. Dico «probabilmente» perché ogni scrittore, quando scrive di sé, in realtà si nasconde.
Ma se, a Zagabria, parlate di Puck a qualsiasi uomo di cultura, vedrete che gli si illuminano gli occhi, gli si aprono i ricordi, ricordi di una stagione maledetta, quella della guerra, eppure ebbra di possibilità e di voglia di fare; quella voglia di fare culturale promossa dal magnifico Puck, il personaggio- persona che fu Grytzko per quella città.
Grytzko Mascioni, come ogni vero uomo di cultura, come ogni vera personalità, ha avuto un antagonista. Che non è altri se non il suo grande amico- competitore Predrag Matvejevic. Entrambi amavano di amore profondo il Mediterraneo. E competevano per descriverlo meglio dell’altro. Una volta, con Matvejevic, mi misi a parlare di Mascioni e Predrag mi confessò che per il suo rapporto con Grytzko, improntato alla grande amicizia, non poteva trovarsi formula migliore di quella dell’antagonismo creatore, quell’intenso rapporto mimetico- competitivo che ritroviamo, presentatoci come sul palmo di una mano, nei libri di René Girard. Chi mi è vicino, chi sento più profondamente mio, chi parla e scrive delle mie cose, è colui che io cercherò di superare. E’ così, concluse Matvejevic, che nascono le grandi opere.
Nel caso di cui vi narro, esse, le opere, i romanzi, i saggi, le poesie di Grytzko, nulla e nessuno le potrà cancellare, tanto meno la logica della nostra esistenza che è un passaggio; le opere di Mascioni, dicevo, vivono e vivranno con e nella nostra memoria, la memoria che Grytzko tanto amava, un mito platonico per cui un trasvolatore, per un attimo, dall’alto, ricordandola, è capace di afferrare l’essenza dell’idea; le opere di Grytzko Mascioni, mio amico letterario, dicevo, vivranno e rimarranno nella memoria di tutti coloro che vorranno provare a catturare la vera essenza dell’idea.