Mario Botta: nelle città antiche i penati ci proteggono
Adele Cambria
09/10/2005 - L'Unità, Roma
Non sono un’addetta ai lavori,ma il fascino di Villa Medici e il tema, «Antico e moderno nelle città storiche», (parlerà l'architetto Mario Botta, non l'ho mai sentito dal vivo), mi attraggono: e poi l'incontro é organizzato in occasione della consegna del Premio Federico Zeri che segnala le più brillanti tesi di dottorato di ricerca sulla storia dell' arte in Italia, di giovani studiosi europei. Il portone dell'edificio ristrutturato dall'architetto fiorentino Bartolomeo Ammannati per il Cardinal Federico de' Medici è, stranamente, chiuso. Suono, chiedo come mai: motivi di sicurezza, mi dicono. Scoprirò, tra un paio d'ore, quando ritroverò la mia vecchia Seicento, sul viale di Trinità dei Monti, con i vetri in frantumi, che i vandali delle auto colpiscono anche nel cuore più prezioso della città. Nel salone delle conferenze e della musica, cui si arriva dalla splendida loggia affacciata sul giardino restaurato, sta già parlando Mario Botta: riccioli bianchi, camicia candida di cotone plissé, giacca di velluto nero, una voce armoniosa...
Si farà perdonare la torretta cilindrica che spunta, sovrastandola, dalla facciata del Piermarini alla Scala? Con mia piacevole sorpresa (forse per la scarsa informazione sul personaggio - ho letto che gli edifici di Botta sono «caratterizzati da una chiara struttura geometrica in netto contrasto con il paesaggio»), sento che sta discorrendo quasi con tenerezza della nostalgia del passato. Il moderatore, Nino Crescenti, lo provoca: «Si ha l’impressione - dice - che più che dalla preoccupazione per la salvaguardia, i contestatori nostalgici siano mossi da una ostilità al nuovo… ». «Bisogna capirli», risponde l’architetto ticinese che fu collaboratore di Le Corbusier. E spiega: «Viviamo in una società debole, che non ha valori da proporre…D' altra parte, ciò che rende le città europee superiori a quelle americane è la loro memoria urbana. Nelle nostre città antiche ci troviamo bene, riconosciamo i nostri penati. E questo è il dono prezioso da trasmettere alle generazioni che vengono dopo. Ma bisogna legittimare il nuovo». Il discrimine, secondo Botta, è la qualità: «Una scultura di Giacometti o di Moore arricchisce qualsiasi contesto antico». Quindi si confessa: «Sto progettando chiese. Una società come la nostra ha paura del sacro. Ma davvero siamo così deboli da rinunciare alla dimensione fondamentale del sacro?». Parla della Università di Mendrisio. «10 anni fa abbiamo creato una scuola d'architettura controcorrente: meno matematica, meno tecnologie, più filosofia, storia dell'arte, letteratura. Ora le altre scuole ci vengono dietro». Infine, sull'Ara Pacis di Meier, Botta si limita a dire: «l'architettura non può essere omologata da un capo all'altro del pianeta. La buona architettura appartiene alla terra, alla storia dei luoghi in cui si fa». "L'anima dei luoghi" di James Hillman.
Adele Cambria
09/10/2005 - L'Unità, Roma
Non sono un’addetta ai lavori,ma il fascino di Villa Medici e il tema, «Antico e moderno nelle città storiche», (parlerà l'architetto Mario Botta, non l'ho mai sentito dal vivo), mi attraggono: e poi l'incontro é organizzato in occasione della consegna del Premio Federico Zeri che segnala le più brillanti tesi di dottorato di ricerca sulla storia dell' arte in Italia, di giovani studiosi europei. Il portone dell'edificio ristrutturato dall'architetto fiorentino Bartolomeo Ammannati per il Cardinal Federico de' Medici è, stranamente, chiuso. Suono, chiedo come mai: motivi di sicurezza, mi dicono. Scoprirò, tra un paio d'ore, quando ritroverò la mia vecchia Seicento, sul viale di Trinità dei Monti, con i vetri in frantumi, che i vandali delle auto colpiscono anche nel cuore più prezioso della città. Nel salone delle conferenze e della musica, cui si arriva dalla splendida loggia affacciata sul giardino restaurato, sta già parlando Mario Botta: riccioli bianchi, camicia candida di cotone plissé, giacca di velluto nero, una voce armoniosa...
Si farà perdonare la torretta cilindrica che spunta, sovrastandola, dalla facciata del Piermarini alla Scala? Con mia piacevole sorpresa (forse per la scarsa informazione sul personaggio - ho letto che gli edifici di Botta sono «caratterizzati da una chiara struttura geometrica in netto contrasto con il paesaggio»), sento che sta discorrendo quasi con tenerezza della nostalgia del passato. Il moderatore, Nino Crescenti, lo provoca: «Si ha l’impressione - dice - che più che dalla preoccupazione per la salvaguardia, i contestatori nostalgici siano mossi da una ostilità al nuovo… ». «Bisogna capirli», risponde l’architetto ticinese che fu collaboratore di Le Corbusier. E spiega: «Viviamo in una società debole, che non ha valori da proporre…D' altra parte, ciò che rende le città europee superiori a quelle americane è la loro memoria urbana. Nelle nostre città antiche ci troviamo bene, riconosciamo i nostri penati. E questo è il dono prezioso da trasmettere alle generazioni che vengono dopo. Ma bisogna legittimare il nuovo». Il discrimine, secondo Botta, è la qualità: «Una scultura di Giacometti o di Moore arricchisce qualsiasi contesto antico». Quindi si confessa: «Sto progettando chiese. Una società come la nostra ha paura del sacro. Ma davvero siamo così deboli da rinunciare alla dimensione fondamentale del sacro?». Parla della Università di Mendrisio. «10 anni fa abbiamo creato una scuola d'architettura controcorrente: meno matematica, meno tecnologie, più filosofia, storia dell'arte, letteratura. Ora le altre scuole ci vengono dietro». Infine, sull'Ara Pacis di Meier, Botta si limita a dire: «l'architettura non può essere omologata da un capo all'altro del pianeta. La buona architettura appartiene alla terra, alla storia dei luoghi in cui si fa». "L'anima dei luoghi" di James Hillman.