l’Unità 21.12.07
Il Natale? L’ha inventato Zoroastro
di Roberto Carnero
Virgilio ne scrive nelle «Bucoliche»
Ma anche nel buddismo troviamo qualcosa di molto simile
E forti analogie con il mistero della nascita esistono nel mito dello zoroastrismo
5000 ANNI DI VITA Il mito natalizio ha radici antichissime in culture e religioni precedenti quella cristiana. Ne parla un libro di Saba Sardi, che uscì 50 anni fa e fu messo all’indice dai Gesuiti, ora ristampato
Quando uscì per la prima volta, cinquant’anni fa, fu subito messo all’indice dai Gesuiti. Del resto già il titolo del libro di Francesco Saba Sardi è piuttosto provocatorio: Il Natale ha 5000 anni. Ora il libro viene riproposto, con ottima tempistica promozionale, in occasione delle imminenti festività natalizie da Bevivino Editore (pp. 720, euro 28,00), con una nuova introduzione dell’autore. Il quale, quando aveva iniziato a porre mano a questa ricerca, si era prefisso uno scopo ben preciso: dimostrare come molti degli elementi del «mito natalizio» fossero già presenti in altre culture e in altre religioni, precedenti quella cristiana.
L’idea, cioè, di un salvatore o di un redentore, promotore di una palingenesi universale, magari nato da una madre vergine, in uno scenario da «presepe», con rocce e grotte in abbondanza, sfuggito a una crudele persecuzione e chiamato a sconfiggere il male, non è esclusiva del cristianesimo. Francesco Saba Sardi racconta così la «favola del Natale», a partire dagli antichi documenti delle altre culture religiose: occidentali, orientali, africane e indoamericane.
Il suo libro propone infatti un’articolata visione delle concezioni del Natale - o del «Figlio del Cielo» o dell’«Apparso» - che hanno corso da almeno 5000 anni: un’attestazione cronologica sicura e prudente, perché in realtà - spiega l’autore - molti dei motivi costitutivi della «mitologia natalizia» risalgono già ad alcuni millenni prima. «Il mito dell’Avvento cristiano - afferma - non è affatto creazione isolata e originale, bensì frutto di sincretismo, un convergere di elementi elaborati nel corso di molti secoli nell’ambito del mondo mediterraneo ma anche extramediterraneo. Gli Apparsi sbucavano, con le regolari scadenze delle crisi, da abissi, schiume, astri, nuvole, grotte, acque, mangiatoie, grembi materni».
In ambito latino è nota la quarta egloga delle Bucoliche di Virgilio, dove si preannuncia la nascita di un puer da cui scaturirà una nuova età dell’oro. Nel Medioevo nel fanciullo profetizzato dal poeta latino si vedrà un’allegoria di Gesù, ma è evidente che il testo virgiliano, composto nel 40 a. C., alludeva ad altro, forse a un condottiero, diversamente identificato dagli interpreti. Tuttavia, spiega Saba Sardi, il testo di Virgilio «può considerarsi la summa delle concezioni epifaniche del mondo antico classico. Alla maniera dei profeti d’Israele, il vate romano promette qualcosa che si possa toccar con mano, l’avvento del regno della pace, dell’abbondanza, un’esistenza felice, dalla quale siano escluse guerre e fatiche».
Ma anche nel Buddismo, religione la cui cosmologia pure è molto diversa da quelle occidentali, troviamo qualcosa di molto simile. Il Buddha, infatti, esce dal fianco di sua madre Maya senza provocarle dolore. Appena nato cammina alla perfezione.
E non solo: «Constata, dotato com’è di uno sguardo capace di vedere l’intero universo, che in questo mondo non c’è nessuno pari a lui e annuncia di essere quello che porrà fine al dolore, alla malattia e alla morte. Le somiglianze con altri Natali sono evidentissime. Il Buddha appare uscendo da un fianco della madre. Il parto è dunque verginale in quanto l’Apparso non transita per l’utero.
Lo scrigno prezioso in cui è in attesa, ed è perfettamente formato, ha palesi equivalenze con l’utero da cui nasce il Cristo, ma anche con le rocce, caverne, eccetera, di mille Figli del Cielo o dell’universo. Il Buddha è il portatore di luce, essendo colui che diventerà l’Illuminato. Il Buddha e il Cristo sono entrambi Phanes, sono Apparsi. Entrambi sono Parola senza origine. Vengono infatti dall’eternità che è senza tempo per definizione».
Analoghi gli elementi presenti nel mito natalizio dello zoroastrismo, la religione orientale nata tra l’VIII e il VII secolo a. C. Così si legge, ad esempio, in un antico testo a proposito di Zoroastro: «Al momento in cui morì, egli proiettò il proprio sperma per entro una sorgente e, approssimandosi la fine del mondo, da esso sperma una vergine nascerà, e un bimbo uscito da lei metterà in rotta un numero enorme di seguaci di Ahriman, e due altri bimbi, che allo stesso modo saranno messi al mondo, ne sconfiggeranno definitivamente le schiere e le stermineranno».
Ma che cos’hanno in comune le diverse versioni del Natale presenti nelle varie religioni? Qual è il sostrato concettuale sotteso alle simili scenografie? Spiega Francesco Saba Sardi: «Potremmo definire il Natale intendendolo come frontiera tra l’esserci e il non-esserci. Eros che cavalca un delfino, avendo come attributi ora le ali, ora la lira, ora la clava di Ercole, era il simbolo greco di questo stato di sospensione: un cullarsi sull’acqua, un librarsi sull’abisso. Il frutto del Natale è un ente suscettibile di evolvere in ogni direzione e dimensione, onnipotente com’è, donde la varietà delle sue metamorfosi. Ma, appunto per questo suo carattere di appena nato, è impossibile stabilire se appartiene all’aldiqua o all’aldilà, alla concretezza di carne e sangue o a un limbo di incertezza. Il ciclo nascita-copula-morte, l’evidenza dei processi naturali, presta attributi all’idea mitica, e a sua volta il racconto mitico spiega la natura, in uno scambio continuo in cui la spinta iniziale è un’invenzione, una rivelazione. Il Natale dei Vangeli, il Cristo, percorre le tre fasi del mitema: neonato; eroe minacciato dai pericoli ma trionfante; morto e risorto».
Il Natale? L’ha inventato Zoroastro
di Roberto Carnero
Virgilio ne scrive nelle «Bucoliche»
Ma anche nel buddismo troviamo qualcosa di molto simile
E forti analogie con il mistero della nascita esistono nel mito dello zoroastrismo
5000 ANNI DI VITA Il mito natalizio ha radici antichissime in culture e religioni precedenti quella cristiana. Ne parla un libro di Saba Sardi, che uscì 50 anni fa e fu messo all’indice dai Gesuiti, ora ristampato
Quando uscì per la prima volta, cinquant’anni fa, fu subito messo all’indice dai Gesuiti. Del resto già il titolo del libro di Francesco Saba Sardi è piuttosto provocatorio: Il Natale ha 5000 anni. Ora il libro viene riproposto, con ottima tempistica promozionale, in occasione delle imminenti festività natalizie da Bevivino Editore (pp. 720, euro 28,00), con una nuova introduzione dell’autore. Il quale, quando aveva iniziato a porre mano a questa ricerca, si era prefisso uno scopo ben preciso: dimostrare come molti degli elementi del «mito natalizio» fossero già presenti in altre culture e in altre religioni, precedenti quella cristiana.
L’idea, cioè, di un salvatore o di un redentore, promotore di una palingenesi universale, magari nato da una madre vergine, in uno scenario da «presepe», con rocce e grotte in abbondanza, sfuggito a una crudele persecuzione e chiamato a sconfiggere il male, non è esclusiva del cristianesimo. Francesco Saba Sardi racconta così la «favola del Natale», a partire dagli antichi documenti delle altre culture religiose: occidentali, orientali, africane e indoamericane.
Il suo libro propone infatti un’articolata visione delle concezioni del Natale - o del «Figlio del Cielo» o dell’«Apparso» - che hanno corso da almeno 5000 anni: un’attestazione cronologica sicura e prudente, perché in realtà - spiega l’autore - molti dei motivi costitutivi della «mitologia natalizia» risalgono già ad alcuni millenni prima. «Il mito dell’Avvento cristiano - afferma - non è affatto creazione isolata e originale, bensì frutto di sincretismo, un convergere di elementi elaborati nel corso di molti secoli nell’ambito del mondo mediterraneo ma anche extramediterraneo. Gli Apparsi sbucavano, con le regolari scadenze delle crisi, da abissi, schiume, astri, nuvole, grotte, acque, mangiatoie, grembi materni».
In ambito latino è nota la quarta egloga delle Bucoliche di Virgilio, dove si preannuncia la nascita di un puer da cui scaturirà una nuova età dell’oro. Nel Medioevo nel fanciullo profetizzato dal poeta latino si vedrà un’allegoria di Gesù, ma è evidente che il testo virgiliano, composto nel 40 a. C., alludeva ad altro, forse a un condottiero, diversamente identificato dagli interpreti. Tuttavia, spiega Saba Sardi, il testo di Virgilio «può considerarsi la summa delle concezioni epifaniche del mondo antico classico. Alla maniera dei profeti d’Israele, il vate romano promette qualcosa che si possa toccar con mano, l’avvento del regno della pace, dell’abbondanza, un’esistenza felice, dalla quale siano escluse guerre e fatiche».
Ma anche nel Buddismo, religione la cui cosmologia pure è molto diversa da quelle occidentali, troviamo qualcosa di molto simile. Il Buddha, infatti, esce dal fianco di sua madre Maya senza provocarle dolore. Appena nato cammina alla perfezione.
E non solo: «Constata, dotato com’è di uno sguardo capace di vedere l’intero universo, che in questo mondo non c’è nessuno pari a lui e annuncia di essere quello che porrà fine al dolore, alla malattia e alla morte. Le somiglianze con altri Natali sono evidentissime. Il Buddha appare uscendo da un fianco della madre. Il parto è dunque verginale in quanto l’Apparso non transita per l’utero.
Lo scrigno prezioso in cui è in attesa, ed è perfettamente formato, ha palesi equivalenze con l’utero da cui nasce il Cristo, ma anche con le rocce, caverne, eccetera, di mille Figli del Cielo o dell’universo. Il Buddha è il portatore di luce, essendo colui che diventerà l’Illuminato. Il Buddha e il Cristo sono entrambi Phanes, sono Apparsi. Entrambi sono Parola senza origine. Vengono infatti dall’eternità che è senza tempo per definizione».
Analoghi gli elementi presenti nel mito natalizio dello zoroastrismo, la religione orientale nata tra l’VIII e il VII secolo a. C. Così si legge, ad esempio, in un antico testo a proposito di Zoroastro: «Al momento in cui morì, egli proiettò il proprio sperma per entro una sorgente e, approssimandosi la fine del mondo, da esso sperma una vergine nascerà, e un bimbo uscito da lei metterà in rotta un numero enorme di seguaci di Ahriman, e due altri bimbi, che allo stesso modo saranno messi al mondo, ne sconfiggeranno definitivamente le schiere e le stermineranno».
Ma che cos’hanno in comune le diverse versioni del Natale presenti nelle varie religioni? Qual è il sostrato concettuale sotteso alle simili scenografie? Spiega Francesco Saba Sardi: «Potremmo definire il Natale intendendolo come frontiera tra l’esserci e il non-esserci. Eros che cavalca un delfino, avendo come attributi ora le ali, ora la lira, ora la clava di Ercole, era il simbolo greco di questo stato di sospensione: un cullarsi sull’acqua, un librarsi sull’abisso. Il frutto del Natale è un ente suscettibile di evolvere in ogni direzione e dimensione, onnipotente com’è, donde la varietà delle sue metamorfosi. Ma, appunto per questo suo carattere di appena nato, è impossibile stabilire se appartiene all’aldiqua o all’aldilà, alla concretezza di carne e sangue o a un limbo di incertezza. Il ciclo nascita-copula-morte, l’evidenza dei processi naturali, presta attributi all’idea mitica, e a sua volta il racconto mitico spiega la natura, in uno scambio continuo in cui la spinta iniziale è un’invenzione, una rivelazione. Il Natale dei Vangeli, il Cristo, percorre le tre fasi del mitema: neonato; eroe minacciato dai pericoli ma trionfante; morto e risorto».