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SIAMO PURE FIGLI DI ORIENTE
DAVIDE GIANLUCA BIANCHI
In Oriente uno solo è libero, nelle civiltà classiche pochi, nel mondo moderno tutti. Hegel la pensava così, perché la libertà - a suo giudizio - aveva seguito il percorso del Sole nel suo cammino da Levante a Ponente. E con lui Croce iscriveva sotto il segno della libertà l'intera storia d'Europa, che l'antico continente venerava con fervore quasi religioso.
Ben poche convinzioni sono altrettanto radicate nella cultura europea quanto quella che ascrive al mondo occidentale il bene della libertà e a quello orientale il morbo del dispotismo. Almeno dai tempi di Erodoto, sul piano storiografico, e di Aristotele, su quello della filosofia politica, si tramanda questo assioma che Norberto Bobbio ha definito «l'ideologia europea », molto prima che Valéry Giscard d'Estaing scegliesse le parole di Pericle come epigrafe del progetto di Costituzione europea.
Erodoto descriveva le guerre greche contro i Persiani come una lotta delle civiltà contro la barbarie, una battaglia a favore del governo della legge rispetto a quello, arbitrario, degli uomini.
Aristotele fece di più: costruendo la classica tipologia delle forme di governo che è giunta fino ai giorni nostri (monarchia, aristocrazia, democrazia e relative degenerazioni) collocava il dispotismo - caratteristico dei popoli asiatici - al di fuori di essa, perché estraneo alla civiltà politica. Il despota tratta i sudditi come schiavi, e questi accettano di buon grado: ci sarebbero quindi popoli amanti della libertà, come i greci, che al più potevano essere governati da tiranni (a cui però, prima o poi, si sarebbero ribellati) e barbari come i popoli d'Oriente, che al padrone si piegavano per indole connaturata.
Questo assioma, grazie a Tommaso d'Aquino e Marsilio da Padova, ha passato indenne il Medioevo ed è giunto pressoché intatto all'inizio dell'età moderna, dove lo incontriamo con minime rielaborazioni.
Lo usa Bodin per la sua monarchia regia, Machiavelli parlando di principato e Montesquieu, il quale però introduce un'innovazione decisiva: per lui il dispotismo orientale è una forma di governo, accanto alla repubblica e alla monarchia.
Per l'Encyclopédie scrive la voce «dispotismo», in cui gli esempi citati sono la Turchia, il Mogol, il Giappone, la Persia e «quasi tutta l'Asia».
Manco a dirlo, questo tipo d'argomento è stato largamente usato durante la Guerra fredda, allo scopo di asserire che l'Unione Sovietica, come già l'antica Moscovia, era da considerarsi uno stato dispotico.
Ci possiamo stupire allora se alcuni governanti, per giustificare le proprie iniziative militari, usano lo slogan dell'«esportazione della democrazia » in territori da questa ancora inesplorati? Come abbiamo visto è storia vecchia la tesi del tutto ideologica secondo cui in Occidente vige la libertà e in Oriente (o comunque altrove) la schiavitù, eppure se ne è parlato, proprio in questi termini, descrivendo il regime retto da Saddam Hussein.
E talora si torna a riproporre questo pregiudizio guardando al mondo musulmano in genere, che si vorrebbe «contaminare » dei valori occidentali, senza considerare che ogni civiltà ha le sue specificità anche politiche (peraltro, di «esportazione della democrazia » in un contesto non occidentale esiste un solo caso rilevante, quello del Giappone dopo la Seconda guerra mondiale, che comunque venne messo su questa strada dal protettorato, per nulla docile, del generale MacArthur).
È meritorio quindi che Bollati Boringheri abbia deciso di ridare alle stampe un vecchio classico scritto nel 1947 da Santo Mazzarino, Fra Oriente e Occidente (introduzione di Filippo Cassola, pp. 468, e 20), il quale, mosso da tutt'altri intenti, si propone proprio di indagare le contaminazioni, molte e rilevanti, che i Greci ebbero con il mondo asiatico, lungo le due direttrici che identificava l'autore: la «via della koinè», continentale, e la «via dell'alfabeto», marittima e insulare.
Di questi tempi è un libro utile a farci riflettere e a metterci in guardia da pigrizie mentali che potrebbero rilevarsi pericolose.
In Oriente uno solo è libero, nelle civiltà classiche pochi, nel mondo moderno tutti. Hegel la pensava così, perché la libertà - a suo giudizio - aveva seguito il percorso del Sole nel suo cammino da Levante a Ponente. E con lui Croce iscriveva sotto il segno della libertà l'intera storia d'Europa, che l'antico continente venerava con fervore quasi religioso.
Ben poche convinzioni sono altrettanto radicate nella cultura europea quanto quella che ascrive al mondo occidentale il bene della libertà e a quello orientale il morbo del dispotismo. Almeno dai tempi di Erodoto, sul piano storiografico, e di Aristotele, su quello della filosofia politica, si tramanda questo assioma che Norberto Bobbio ha definito «l'ideologia europea », molto prima che Valéry Giscard d'Estaing scegliesse le parole di Pericle come epigrafe del progetto di Costituzione europea.
Erodoto descriveva le guerre greche contro i Persiani come una lotta delle civiltà contro la barbarie, una battaglia a favore del governo della legge rispetto a quello, arbitrario, degli uomini.
Aristotele fece di più: costruendo la classica tipologia delle forme di governo che è giunta fino ai giorni nostri (monarchia, aristocrazia, democrazia e relative degenerazioni) collocava il dispotismo - caratteristico dei popoli asiatici - al di fuori di essa, perché estraneo alla civiltà politica. Il despota tratta i sudditi come schiavi, e questi accettano di buon grado: ci sarebbero quindi popoli amanti della libertà, come i greci, che al più potevano essere governati da tiranni (a cui però, prima o poi, si sarebbero ribellati) e barbari come i popoli d'Oriente, che al padrone si piegavano per indole connaturata.
Questo assioma, grazie a Tommaso d'Aquino e Marsilio da Padova, ha passato indenne il Medioevo ed è giunto pressoché intatto all'inizio dell'età moderna, dove lo incontriamo con minime rielaborazioni.
Lo usa Bodin per la sua monarchia regia, Machiavelli parlando di principato e Montesquieu, il quale però introduce un'innovazione decisiva: per lui il dispotismo orientale è una forma di governo, accanto alla repubblica e alla monarchia.
Per l'Encyclopédie scrive la voce «dispotismo», in cui gli esempi citati sono la Turchia, il Mogol, il Giappone, la Persia e «quasi tutta l'Asia».
Manco a dirlo, questo tipo d'argomento è stato largamente usato durante la Guerra fredda, allo scopo di asserire che l'Unione Sovietica, come già l'antica Moscovia, era da considerarsi uno stato dispotico.
Ci possiamo stupire allora se alcuni governanti, per giustificare le proprie iniziative militari, usano lo slogan dell'«esportazione della democrazia » in territori da questa ancora inesplorati? Come abbiamo visto è storia vecchia la tesi del tutto ideologica secondo cui in Occidente vige la libertà e in Oriente (o comunque altrove) la schiavitù, eppure se ne è parlato, proprio in questi termini, descrivendo il regime retto da Saddam Hussein.
E talora si torna a riproporre questo pregiudizio guardando al mondo musulmano in genere, che si vorrebbe «contaminare » dei valori occidentali, senza considerare che ogni civiltà ha le sue specificità anche politiche (peraltro, di «esportazione della democrazia » in un contesto non occidentale esiste un solo caso rilevante, quello del Giappone dopo la Seconda guerra mondiale, che comunque venne messo su questa strada dal protettorato, per nulla docile, del generale MacArthur).
È meritorio quindi che Bollati Boringheri abbia deciso di ridare alle stampe un vecchio classico scritto nel 1947 da Santo Mazzarino, Fra Oriente e Occidente (introduzione di Filippo Cassola, pp. 468, e 20), il quale, mosso da tutt'altri intenti, si propone proprio di indagare le contaminazioni, molte e rilevanti, che i Greci ebbero con il mondo asiatico, lungo le due direttrici che identificava l'autore: la «via della koinè», continentale, e la «via dell'alfabeto», marittima e insulare.
Di questi tempi è un libro utile a farci riflettere e a metterci in guardia da pigrizie mentali che potrebbero rilevarsi pericolose.