Tuesday, December 04, 2007

Sugli Dei tramutati in santi

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Zeus è stato quasi per intero assorbito in Dio Padre, di cui agli occhi dei contadini ha fortemente influenzato il carattere; ma poco di lui sussiste fuori dai muri delle chiese, a parte le esclamazioni continentali che alludono alla sua nascita cretese. Qualche traccia della sua lotta con i Titani rimane nelle fiabe zantiote. La stessa fonte ricorda Poseidone, «demone del mare» armato di tridente; ma san Nicola lo ha pressoché interamente soppiantato. Nei racconti popolari ci sono chiari riferimenti a Mida, alla sfìnge, a Icaro e ai ciclopi, e talvolta a una figura che somiglia a Pan e che può essere anche «il Lontano» di cui ho fatto cenno sopra.
L'esempio più chiaro di una felice carriera pagano-cristiana è Demetra-Demetrio. Giovane, quasi imberbe, in groppa a un cavallo sauro, con elmo e corazza, Demetrio, il megalomartire di Diocleziano, è uno dei santi più possenti dell'ortodossia, e inoltre, insieme al grande san Giorgio che ha un destriere bianco, uno dei due soli santi a cavallo. Pausania parla di statue a testa di cavallo della dea Demetra, il che può spiegare l'insistenza iconografica sul rango equestre di Demetrio-Demetra dopo la trasmutazione. L'unico luogo dove la dea resistette a questo cambiamento e divenne una extracanonica «santa Demetra» fu Eleusi, già sede dei suoi più sacri riti nei misteri eleusini. Qui una sua antica statua, sfuggita allo zelo degli iconoclasti, fu venerata e coronata di ghirlande e centro di preghiere per la prosperità dei raccolti finché nel 1801 due inglesi di nome Clark e Cripps, muniti di un documento del pascià locale, la sottrassero all'indignata e tumultuante popolazione. Una tradizione immemorabile fu infranta, e l'esule dea, che probabilmente era stata oggetto di culto più a lungo di ogni altra al mondo, ora languisce a Cambridge, sghirlandata, sconsacrata e derelitta, nel Fitzwilliam Museum, n. XIV del catalogo. Ma il suo ricordo aleggia ancora nella regione del suo santuario violentato.
Sicuramente è a Pan che pensavano i dottori greci, e san Girolamo nella Vulgata, nel tradurre l'ebraico del salmo 91: «Non temere per il terrore notturno, nè per la freccia che vola di giorno, non per la pestilenza che cammina nell'oscurità, nè per il contagio che fa strage a mezzodì». I greci resero l'ultima frase con symptoma hai daimonion mesembrinón, san Girolamo con incursus et daemonium meridianum («l'assalto e il demone meridiano»): sbagliando entrambi.
Lenormant registra, della stessa regione, uno straordinario racconto narratogli da un vecchio albanese: di santa Demetra, dama ateniese con una figlia bellissima che fu rapita da un malvagio pascià e portata a Suli, essendole però consentito di tornare di tanto in tanto a certe condizioni
strettamente connesse con la felicità dei raccolti. Non è diffìcile discernere qui Demetra, Persefone e Plutone, in turbante e caffettano. I monti eroici di Suli dominano la confluenza dell'Acheronte e del Cocito, vie per l'Ade famose quasi quanto quella di Matapan; e un'antica versione della discesa agli Inferi di Persefone la situa proprio là. Lenormant trovò tradizioni simili nello stesso Epiro e Lawson in Arcadia, vicino alle «buche del diavolo» di Fonia nelle montagne sopra il fiume Ladone, e anche nei monti desolati intorno al tempio di Basse: parti dell'Arcadia dove gli antichi culti pelasgici risentirono meno delle immigrazioni achee e doriche.
Ci sono zone dell'Arcadia settentrionale dove, caso unico in tutta la Grecia, mangiare carne di maiale è misteriosamente tabù; i maiali erano sacri a Demetra e Persefone. Ma a parte questi casi sparsi, una «Padrona della Terra e del Mare» o semplicemente «la Padrona» - una figura non cristiana, immortale ma in carne e ossa, benevola verso gli uomini, e distinta dalla Beata Vergine - presiede in molti luoghi remoti e montuosi alla prosperità degli alberi da frutto, all'abbondanza dei raccolti e alla crescita delle greggi. In Etolia,dove la coltivazione del tabacco è la principale attiva agricola, la pianta del tabacco è specialmente affidata alla Sua sua protezione. A volte essa è chiamata «la Signora» - «Kiria» o «Despoina» - ma non ha chiesa, sebbene gli stessi epiteti siano spesso applicati alal Vergine. Vive nel cuore profondo delle montagne, come si addice a una divinità ctonia; Pausania parla di una sua dimora nel monte Eleo. Forse ebbe templi ma il suo vero santuario era una splendida sala sotterranea, e da questa sede essa esercita ancora la sua benigna influenza.
A lei è collegata altresì in racconti popolari «la bella della terra» - Persefone -custodita da un cane a tre teste «insonne giorno e notte»; in altre versioni il guardiano diventa un serpente tricipite. In un canto popolare macedone Cerbero è mdicato con i particolari più convinventi, ma non per nome, come il «cane da guardia di Caronte».
Ho accennato in precedenza alla sopravvivenza di Caronte Anche lui, probabilmente per un eccesso di zelo dei contadini convertiti al tempo del grande mutamento (dovette sembrare necessario arruolare il mondo pagano per intero, armi e bagagli), è apparso a volte come San Caronte. Abbiamo visto che egli non è più un traghettatore, bensì la Morte in persona, che va ora a piedi ora a cavallo. In questa veste egli compare subito in innumerevoli canzoni e poesie contadine dai tempi di Bisanzio a oggi. A volte egli agisce per conto proprio, a volte come emissario di Dio; a volte è un guerriero armato di tutto punto, pronto a un lungo e feroce combattimento. Nelle fonti più vecchie egli si avvicinava maggiormente al suo carattere attuale (cui in età classica è affine soprattutto il mite Thanatos, che nell'Alcesti viene a portare la giovane sposa del re Admeto nell'Ade; infatti anche oggi egli non sempre è feroce). La sua persona guerresca corrisponde al Caronte senza barca, armato d'ascia, di martello e di spada, che figura sul lato di alcuni sarcofagi etruschi. La barca, del resto, è forse una novità achea d'origine relativamente tarda; probabilmente la precedente forma pelasgica di Caronte aveva messo radici profonde tra i greci e gli etruschi molto prima che si configurasse la sua imago posteriore; e quando i flutti del tempo portarono via questo Caronte tardo con tutto il suo contorno fluviale, il vecchio, prestigioso e terragno predecessore ebbe il sopravvento e vive ancor oggi, più vigoroso di tutti gli antichi colleghi.
Di Eros, con tanto di arco e freccia, si parla spesso in canzoni e racconti; ma dato che in greco la stessa parola è usata tuttora per «amore», bisogna stare in guardia. Afrodite, chiamata non col suo nome ma «madre di Eros», ha avuto in età cristiana solo una vaga e oscura esistenza, e ormai è scomparsa. (I suoi compiti furono assunti da santa Caterina in chiesa, e fuori di chiesa dalle ancora sussistenti Parche). Tuttavia ho scoperto con emozione che fino a data recente la parola afroditissa, ossia «prostituta», ricordava ancora debolmente presso i manioti di Cargese l'Afrodite Pandemos.
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da: P.L. Fermor: MANI, viaggi nel Peloponneso. Adelphi, Milano 2004